Il cuore di CARITAS è pane vivo
Dalla commemorazione al manifesto programmatico, dalla fame dell’uomo alla fame di Dio

A
cura di Dante Balbo



Il 22 giugno scorso, Caritas Ticino era in festa per la consacrazione dell’altare e del Tabernacolo, centro della nuova cappellina preparata nella sede di via Merlecco a Pregassona. Per l’occasione a presiedere la Messa di benedizione dell’altare era il nostro Vescovo, che ha approfittato per rivolgerci una parola autorevole.
Riassumerla sarebbe un peccato, mentre offrirla alla riflessione comune ci pare importante, perché ci riporta con forza al centro della nostra vocazione, al cuore stesso della nostra ragione di esistere come Caritas della Chiesa locale.



Carissimi,

vorrei approfittare di questa felice circostanza per intrattenervi brevissimamente su alcuni principi fondamentali che reggono la Pastorale della Carità, perché Caritas è Pastorale e va al di là di quello che la fantasia e le conoscenze più o meno limitate possono far dire o far supporre. E allora ecco i principi enunciati.

La carità, prima di essere virtù morale, è modo costitutivo di essere del cristiano. Prima che sul piano morale dell’agire, se è bene, se è male, si colloca sul piano ontologico dell’essere, proprio nella sua essenza. Paolo Apostolo può scrivere che "Dio ci ha prescelti per tutta l’eternità perché esistiamo nella carità" (Eph. 1,4). Questo è lo scopo della nostra elezione eterna: esistere nella carità che designa non solo un modo di pensare, un modo di sentire, un modo di agire, ma un modo di essere, che suppone una "nuova creatura", una nascita o rinascita, intrinsecamente e veramente rinnovatrice, che ci cambia. Qui è bene avvertire che non siamo ancora sul piano morale, cioè gli uomini che si mettono ad amare con i loro sforzi, per imitare Dio, per così dire, dal di fuori. La carità, essendo una qualità divina, anzi è Dio stesso, non può venire nell’uomo se lui non la infonde e dona con un dono gratuito e preveniente. S.Giovanni lo dice nella prima lettera: per amare come Dio, bisogna nascere da Dio (3, 2-9), cioè ricevere la sua natura per partecipazione: essendo Egli amore, diventiamo anche noi amore, capaci di amare. E’ naturale che Dio ci generi a sua immagine e somiglianza ... Siamo dunque veramente generati da Dio nell’amore, per essere anche noi amore, nei modi concreti di cui saremo capaci ... E qui si tocca l’essenza della vita cristiana che non è sulle nuvole. Si "è" o non "si è" per l’amore. Sono queste le ragioni di base che giustificano e postulano un discorso teologico della carità prima di parlare di ogni impegno cristiano nel mondo (P. Visentin: "Vivere nella carità", pagg. 34/37- Ed. AVE 1959) Conseguentemente ci sono due errori da evitare. Il primo potrebbe essere questo: fare della carità un virtù morale, mentre essa è teologale in tutta la sua natura, perché ha per oggetto Dio, si identifica con Dio, è rivelata da Dio, in noi è sempre comunicazione della carità di Dio. Se si perde il contatto con Dio per correre dietro all’uomo; se non si attinge continuamente a quella fonte di carità divina per dare all’uomo, affamato d’amore, proprio il dono divino dell’amore, tutto è nulla; se si taglia questo cordone ombelicale siamo perduti; potremo donare soltanto il nostro povero amore egoistico e ricadremo nell’eros dei greci rinnegando la rivelazione più ordinale del cristianesimo (P. Visentin, op.cit. pag. 38) L’altro errore potrebbe consistere nel presentare "un cristianesimo conclamato, ma spesso inefficiente, una teologia che non incide minimamente sulla realtà" (P. Visentin op.cit.). È la teologia delle chiacchiere: - nel separare dalla vita il primo comandamento "Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze" (Lc 10,27). dal secondo "Amerai il prossimo tuo come te stesso", che il Signore invece ha detto equivalente, della stessa eccellenza e forza imperativa del primo e che insieme a questo è condizione essenziale della vita cristiana, (San Giovanni: chi dice di amare Dio e non ama il prossimo è un bugiardo); - nell’ignorare o dimenticare con i fatti il testamento supremo di Gesù: "Amatevi fra di voi come ho amato io" (Gv. 13,34) che ha voluto qualificare come "il mio precetto", - nel rompere nei fatti il vincolo inscindibile che il Signore ha Posto fra Eucarestia - Chiesa e Carità, che non possono mai essere disgiunti, così che se manca uno di questi tre termini, tutto crolla, fino a che Gesù ritornerà ("donec veniat") i credenti dovranno rinnovare sempre il mistero dell’Eucarestia, per ritrovare Cristo e ritrovarsi tutti in un corpo solo con lui" (Visentin, o.c.pag. 51); - nel non riconoscere nei fatti della vita che il prossimo è sacramento di Cristo, e non riconoscere la sua reale presenza nei poveri e nei sofferenti con le terribili conseguenze finali che il Signore ha annunciato con estrema chiarezza.
La pastorale della carità dovrà tendere a far sì che l’essere essenziale della vita cristiana si manifesti coerentemente nelle espressioni quotidiane dei singoli cristiani, delle famiglie, della comunità cristiana: si tratta di promuovere una crescita armonica della comunità cristiana che attinge la sua vitalità nella Parola di Dio e nella Eucarestia e la esprime nella carità. Paolo VI affermava, e chissà quanti prima di lui: "Se la carità è sincera, scende necessariamente a gesti concreti con chi è in stato di bisogno (Paolo VI - I. Convegno Caritas Diocesane 1972). E qui ci vedo la nostra Caritas, che coscientemente, e credo coscientemente, ma mettiamola pure anche un po’ incoscientemente, non ha fatto Caritas prima fuori, ma la sta facendo dentro, perché ogni giorno che passa, per chi può essere sensibilmente attento, si accorge che questo nucleo di operatori stanno facendo Caritas su loro stessi, tra di loro. Ed ecco che di lì si scopre qualche cosa che è singolare e non comune a tutte le Caritas, lo si voglia o no. E qui si forma un corpo, chiamiamolo famiglia, chiamiamolo non so che cosa, non vorrei scendere a livelli banali, ma direi che sono tutti fratelli, o con altre parole, sono tutti dei soci che si amano. E qui sta la forza di tutta l’operazione Caritas, di questa Caritas, della nostra Chiesa locale. Perché quello che opera nello spirito di unione con cui lo compie, fa sì che ciò che ne scaturisce, e pochi lo conoscono fino in fondo, ha del prodigioso. Qualcuno si domanda: chi è la Caritas, che cos’è la Caritas, cosa fa la Caritas. Basterebbe non essere ciechi. Basterebbe coltivare un po’ di attenzione, perché qui c’è un pezzo di cuore autentico e vivo nella nostra Chiesa locale, che non parla tanto e fa parecchio. Ed è in questa circostanza che ci tengo a ringraziare tutti, dalla direzione agli operatori, chiunque in Caritas vive con questo spirito e tutti cercano di farlo. Non sono dei contabili del tempo, non sono dei calcolatori della fatica, caso mai sono dei donatori di generosità personale, che esprimono pagando con l’entusiasmo della loro convinzione e della loro vita. Se la carità è sincera, scende necessariamente a gesti concreti, lo ripeto volentieri. L’espressione più elementare della carità è l’esercizio delle opere di misericordia, se non le vedete distinte sappiate che la Caritas e la carità è proprio come Dio carità, è misericordia.
Il Signore stesso le elenca in Matteo al XXV capitolo e ci assicura che su di esse sarà valutata alla fine la nostra vita con conseguenze eterne. Dobbiamo pensarlo tutti, perché tutta la nostra vita va verso la proiezione dell’eternità di ogni giorno che passa. Come sarà l’eternità? Sarà un po’ come questo oggi, quel domani, quel dopo domani che siamo noi e che facciamo noi. Mentre la carità organizzata è possibile a un numero limitato di persone, il semplice esercizio delle opere di misericordia, perché la Chiesa locale sia la Caritas, opere corporali, spirituali, è possibile a tutti, sebbene con modalità e intensità diverse. E non è delegabile.
La carità che devo fare io non la posso delegare ad altri. E così deve pensarla ciascuno di noi.
La pastorale della carità deve promuovere anzitutto nella comunità cristiana opere, ma che siano il fiore dell’albero della fede, della speranza, virtù teologali, offrendo a tutti indistintamente motivazioni, stimoli e occasioni. Il Direttore ha parlato della cappellina. È proprio un piccolo rifugio tra le realtà più importanti che ci sono, perché al cuore di ogni vita cristiana sta l’Eucarestia, e qui ci sta bene l’Eucarestia, anche se magari la si incontra di passaggio. Anche e soprattutto perché qui ogni giorno la giornata inizia in comunione con Dio carità, tutto il resto si sviluppa. Se c’è da fare un augurio è soltanto questo. Andare avanti sulla strada che già calpestiamo, sul cammino che già facciamo. Andare avanti tranquillamente e con entusiasmo. Non ti occupar di loro, se quei loro sono solo motivo di fastidio o di non collaborazione, può capitare.
Noi con amore guardiamo a Dio. Noi con amore guardiamo al Signore che ci dice: questo è tuo fratello, è un segno della mia presenza, è un segno di una tua esigenza, diventa un segno sacramentale. A Caritas oggi io dico grazie e lo dico con tutto il cuore, perché con coscienza e conoscenza di causa e quindi senza nulla di elogiativo. Non ho detto niente che fosse una sviolinata, ma semplicemente ho descritto una realtà a cui, nonostante la mia apparente lontananza, appartengo, almeno nostalgicamente, col cuore e col pensiero.