Se da una parte abbiamo bisogno più che mai di un'economia "etica" rispettosa della dignità della persona e quindi capace di sviluppare la produttività e la redditività in un'ottica di bene comune e di ridistribuzione della ricchezza, d'altra parte ci pare esista anche un nuovo aspetto che non va sottovalutato: la bassa, talvolta bassissima, competitività di molti disoccupati in rapporto alle esigenze del mercato. Esigenze soprattutto nei termini di affidabilità, di flessibilità, di capacità e ritmi di produzione.
Sarebbe certamente sbagliato
generalizzare un'esperienza settoriale come quella del nostro programma occupazionale
ma alcune verifiche empiriche non possono evitare alcuni interrogativi allarmanti.
Costatiamo, infatti, nel nostro programma, strutturato sostanzialmente come
un'impresa che svolge un ventaglio piuttosto ampio di attività a carattere
artigianale e industriale, una presenza numerosa di disoccupati non in grado
di inserirsi con un livello di efficienza sufficiente. Se all'interno di un
programma occupazionale dove l'inserimento lavorativo è temporaneo, questo
basso profilo si traduce in fondo solo in problemi organizzativi che anche se
gravi possono trovare soluzioni dal punto di vista della "produzione",
nel mercato del lavoro diventano invece motivo di esclusione praticamente definitiva.
Significa che questi disoccupati non sono, di fatto, più proponibili
a ditte che hanno esigenze sempre più elevate, sia perché la legge
della domanda e dell'offerta glielo permette ma anche perché oggi non
possono concedersi sprechi inutili. Ma chissà per quale buona ragione
se li permettevano in passato!
Purtroppo non stiamo parlando di casi estremi, cioè dello "zoccolo
duro" della disoccupazione, dei "casi sociali", ma di una nuova
fascia di disoccupati: persone normali che credono davvero di essere disoccupati
solo perché ci sono meno posti a causa della crisi, ma che poi ad una
valutazione delle capacità effettive, fatta sul terreno, risultano non
ricollocabili secondo i parametri e le esigenze attuali.
Non è ricollocabile ad esempio chi fa fatica a spostarsi col motorino
o a lavorare all'esterno perché fa freddo, chi non accetta un posto a
trenta chilometri dal domicilio - il Ceneri sembra una frontiera insormontabile
- ; chi non riesce ad apprendere nuove tecniche, nuove modalità e ritmi
di lavoro diversi, chi cerca solo un posto se pagato in "nero". Non
è ricollocabile chi è complessivamente poco affidabile quando
è in condizioni di lavoro autonomo.
Inutili i moralismi colpevolizzanti; se si vuole capire questo fenomeno bisogna
cominciare a domandarsi perché e come si sia arrivati ad avere persone
fino a ieri apparentemente integrate perfettamente nel mondo del lavoro, ridotte
oggi a una fascia di esclusi non più competitivi. Quale economia e quale
politica del lavoro hanno permesso e favorito un processo di deresponsabilizzazione
e di diseducazione di un numero troppo grande di giovani che rischiano di pagare
duramente sulla propria pelle grossi errori di prospettiva fatti nei periodi
di vacche grasse.
E anche sulle misure adottate per lottare contro la disoccupazione si impongono
profonde riflessioni: ad esempio sui programmi occupazionali, in cui Caritas
Ticino crede fermamente da dieci anni, che ci pare rischino fortemente di perdere
il loro carattere attivo per diventare, con le nuove disposizioni legislative,
sostanzialmente una forma quasi punitiva di parcheggio obbligatorio a carattere
assistenziale (vedi)?
La questione che ci poniamo con urgenza è cosa proporre a corta e media
scadenza a chi oggi sulla carta ci appare come non più ricollocabile.
Come si può, infatti, anche solo immaginare, senza inorridire, che a
molti giovani di 25/30 anni, si prospettano i prossimi 30/40 anni da disoccupati
a carico dell'assistenza? Sarebbe una follia non intervenire tempestivamente
sia da un punto di vista sociale, sia da quello economico.
Ma, a scanso di equivoci, è meglio sbarazzare il campo dalla possibile
mistificazione consolatoria del cosiddetto "terzo settore" o economia
sociale o non profit. Caritas Ticino crede nella necessità e nelle possibilità
straordinarie di sviluppare nei prossimi anni forme di economia sociale, ma
queste, è meglio dirlo chiaramente, offriranno ben poche opportunità
di lavoro a chi oggi non è competitivo nel mercato del lavoro tradizionale:
i criteri di efficienza necessari per far funzionare l'economia, infatti, per
certi versi sono praticamente gli stessi che fanno prosperare quelle esperienze
autentiche di economia sociale che non vogliono ridursi a parcheggi di tipo
assistenziale. Un semplice esempio: chi è ritenuto poco affidabile ed
efficiente come magazziniere, sarà altrettanto poco affidabile ed efficiente
se si occuperà di trasportare o far compagnia a persone anziane affette
dal morbo di Alzheimer; semplicemente farà maggiori danni.
Che fare e, se possibile, come fare in fretta? Sono le preoccupazioni che, evidentemente
senza pretese esaustive, cercheremo di portare sul palco di Primexpo e a Caritas
Insieme TV, con Marco Casella, Exten SA, Mario Crivelli, Associazione Imprenditori
Cristiani (ASIC) - Nicola Giambonini, Ufficio Cantonale del Lavoro - Mimi Lepori-Bonetti,
consulenza sociale e non profit (Consono) - Costanzo Marchi, Marcmetal SA -
Glauco Martinetti, Federazione Orto Frutticola Ticinese (FOFT) - Meinrado Robbiani,
OCST e Martino Rossi, Divisione dell'Azione Sociale.